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Premi HUGO


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Autore Messaggio
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Ven 15 Dic, 2017 12:31    Oggetto:   

Qua non si amano i file giustificati con Word...come dare torto?
Albacube
«Reloaded» Reloaded
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Località: Un paesello padovano
MessaggioInviato: Lun 18 Dic, 2017 17:02    Oggetto:   

Eh, il giustificato è una brutta bestia, quasi come l'orso blu!

Grazie Smile
ziopippi
«Horus» Horus
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MessaggioInviato: Gio 04 Gen, 2018 17:13    Oggetto:   

@Tobanis

dovresti pubblicarli questi resoconti, sono davvero belli da leggere
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Ven 05 Gen, 2018 08:29    Oggetto:   

Grazie mille!

Di pubblicazioni io mi intendo esattamente 0,0, cioè zero virgola zero!
ziopippi
«Horus» Horus
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Località: Salerno
MessaggioInviato: Ven 05 Gen, 2018 10:06    Oggetto:   

magari *S potrebbe metterli in una pagina apposita qui sul forum (se ne ha tempo e voglia of course)
Albacube
«Reloaded» Reloaded
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Località: Un paesello padovano
MessaggioInviato: Ven 05 Gen, 2018 16:23    Oggetto:   

ziopippi ha scritto:
magari *S potrebbe metterli in una pagina apposita qui sul forum (se ne ha tempo e voglia of course)

Quoto e appoggio, anzi, più che sul forum, dove ci sono già, direi che sarebbe bella una serie di articoli direttamente sul sito o sulla pubblicazione periodica.

Viva Tobanis, l'inviato temporale e immateriale agli Hugo!
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Dom 07 Gen, 2018 16:46    Oggetto:   

Troppa grazia.
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Lun 12 Nov, 2018 21:43    Oggetto:   

[justify]2009, spiace dirlo ma la qualità complessiva dei due maggiori premi della fantascienza sta costantemente scendendo e col 2009 siamo quasi ai minimi degli ultimi tempi, malgrado gradite eccezioni. Trasfertina fino in Canada.[/justify]
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[justify]Vince l’Hugo 2009 quale migliore romanzo Il figlio del cimitero, del 49enne neil Gaiman, al quarto Hugo.[/justify]
[justify]Sconfitti X, alias Little Brother, di Cory Doctorow; Anathem, di Neal Stephenson; l’inedito Saturn’s children di Charles Stross e l’inedito Zoe’s tale di John Scalzi.[/justify]
[justify]Ho trovato molto molto bello il romanzo di Gaiman. Scritto in maniera che sia leggibile da chiunque, come spesso o sempre fa il Nostro, è una specie di classico in divenire, un romanzo “alla Dickens” (anche se lui ringrazia Kipling) che secondo me nei decenni futuri diverrà un “must” di quel periodo. Una specie di fantasy horror (la fantascienza è assente) in cui avviene una strage di una famiglia, assassinata in stile molto “Ottocento” e dove l’unico scampato è un piccolo bambino, finito per caso in un vecchio cimitero. Dico solo che verrà adottato e protetto dalle anime dei morti seppelliti laggiù, ma ne succederanno molte e ci saranno spiegazioni per tante cose.[/justify]
[justify]Si legge in un weekend, si trova facilmente in libreria e lo ritengo una di quelle letture che si “devono” fare (poi, che al limite non piaccia lo si dirà a ragion veduta, a me è piaciuto tantissimo, dato che sono tra il 9 e il 10). L’ho fatto leggere alla mia signora che l’ha trovato molto bello, l’ho fatto leggere all’erede a cui è piaciuto molto. E a scuola l’hanno consigliato come lettura per l’estate. Quando un’opera è così riuscita non c’è molto da aggiungere, sia per non fare spoiler, sia perché più che dire “leggetelo”, che altro? Un libro che rimane impresso e che giustamente ha vinto l’Hugo. E Gaiman si conferma (IMO) il maggior scrittore vivente nel genere fantastico.[/justify]


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Vince il Nebula 2008 come migliore romanzo l’inedito (in Italia) Powers, dell’80enne Ursula Le Guin, al sesto Nebula.
Gli altri erano X, alias Little Brother, di Cory Doctorow; Cauldron, fornace di stelle, di Jack McDevitt; l’inedito Brasyl, di Ian McDonald; l’inedito Making money, di Terry Pratchett e l’inedito Superpowers, di David Schwartz.
Il libro della LeGuin è terribile. Raramente c’è stata in passato tanta differenza tra chi vince l’Hugo e il Nebula. E’ un librone indigeribile, una palla, una noia, un nulla che si protrae per centinaia di pagine. Si narrano le vicende del giovane protagonista, uno schiavo a cui viene insegnato a leggere e scrivere perché anche lui in futuro sarà maestro di altri schiavi e uomini liberi. La società descritta, che il protagonista nel tempo capirà essere molto distopica, è di stampo medioevale, ma non medioevale fantasy, con maghi draghi e quant’altro, no, medioevale punto. E dunque che ci fa qua, nel Nebula? C’è il discorso che il protagonista ha delle confuse visioni su fatti che accadranno in futuro, ma dopo che questo viene accennato a inizio libro, non se ne parla più per il 75% del testo, salvo poi tornare fuori nel finale dell’opera ma sempre in una forma marginale rispetto alla trama. Trama che è una gran rottura di maroni: il nostro, per motivi che non anticipo, fuggirà, si inserirà in una nuova comunità, fuggirà ancora, cercando la sua tribù di origine, e se ne andrà anche da là. Fine. Cinquecento pagine buttate. Malgrado uno stile scorrevole, che rende molto leggibile il testo, non sono mai riuscito ad appassionarmi alle vicende del protagonista. Fosse morto a metà libro, mi sarei detto amen, chissene.
A fronte della mia delusione totale per questa opera, va rimarcato che nei vari siti si leggono critiche entusiaste da parte di vari lettori. Il libro è in realtà l’ultimo di una trilogia, di genere pare “young adult”, ma come accaduto già con altre opere in passato, di questo non potrebbe fregarmene meno, io leggo l’opera premiata e se non fosse leggibile senza gli altri, la valuterei come un’opera illeggibile punto. Non è questo il caso, il libro si può leggere benissimo a sé stante. Certo, pensare che il finale di questo libro è il finale di una saga, beh, è un finale debole assai.
Non condivido comunque tanto entusiasmo (i vari ammiratori hanno mai letto i veri capolavori della LeGuin?) ma siamo al solito de gustibus, per certo non è che devo dire che mi è piaciuto se in giro dicono così. A me non è piaciuto per nulla e non lo consiglio. Il mio voto è pesantemente insufficiente.
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[justify]Vince l’Hugo per il migliore romanzo breve La connessione Erdmann, della 61enne Nancy Kress, al secondo Hugo.[/justify]
[justify]Gli altri in gara erano La verità, di Robert Reed; l’inedito The tear, di Ian McDonald; l’inedito True names, di Benjamin Rosenbaum e Cory Doctorow e Prigioniero politico, di Charles Coleman Finlay.[/justify]
[justify]Il romanzo della Kress, uscito in Italia per Delosbooks, è un gran bel lavoro. Sicuramente un bel libro e una bella storia, ma ho apprezzato in particolare modo il lavoro che l’autrice ci ha fatto. Un crescendo notevole fino al finale; una caratterizzazione non facile (e molto riuscita) dei vari e non pochi personaggi nel breve tragitto permesso da un romanzo breve; i dialoghi molto funzionali e realistici…il tutto mantenendo uno stile scorrevole. Si narra di come in un ospizio di un certo livello un gruppo di anziani subisca delle esperienze neurologiche, diciamo così, comuni tra loro, causando tra gli ospiti enorme sconcerto e paura, gli stessi sentimenti di chi sta loro accanto. Ma poi alla fine ci sarà un’esauriente spiegazione, anche se fanta – scientifica, ovvio. Direi siamo sull’8 e premio meritato.[/justify]
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Vince il Nebula 2008 per la stessa categoria l’inedito The spacetime pool, della 54enne Catherine Asaro, al secondo Nebula.
Gli altri erano Prigioniero politico, di Charles Coleman Finlay; l’inedito Dark Heaven, di Gregory Benford; l’inedito Dangerous space, di Kelley Eskridge e l’inedito The duke in his castle, di Vera Nazarian.
L’ho comprato in e-book, l’ho letto e sono rimasto un po’ perplesso. L’opera sembra quasi una traccia per un futuro libro o una futura saga. Un po’ come dare i primi capitoli a un editore, il quale direbbe, ok, è interessante, e poi? Poi nulla, è un romanzo breve ed è finito così. Il finale stesso è astruso e di fatto non termina nulla. Si racconta di come questa bella ragazza finisca in un universo parallelo (che poi lei è l’unica a menarla, e dice “non ci credo, e come è possibile”, ma cavolo, sei nel 2009, ci hanno fatto libri film documentari sulle realtà alternative, ma dove viveva??); in questa nuova realtà si parla di lei come di una figura storica importante ma quello che a lei interessa è salvare la pelle, dato che è in mezzo a una lotta per il potere tra due fratelli gemelli. Il tutto non è malvagio, è interessante, ma per quanto detto sopra non posso dare più di una sufficienza.[/justify]



[justify]Vince l’Hugo 2009 per il migliore racconto l’inedito Shoggoths in bloom, della 38enne Elizabeth Bear, al secondo Hugo.[/justify]
[justify]Perdono Orgoglio e Prometeo, di John Kessel; l’inedito The ray-gun: a love story, di James Alan Gardner; Gioco d’azzardo, di Paolo Bacigalupi e L’emporio delle meraviglie di Alastair Baffle, di Mike Resnick.[/justify]
[justify]L’opera vincente è un raccontino che si giova di qualche bella immagine (dire “intuizione felice” è troppo) ma ha ben poco senso. Si narra di questo studioso, negli anni ’30, che studia questi enormi essere gelatinosi, gli shoggoths, già apparsi in altre opere di SF (mai esistiti, per quanto se ne sa), esseri larghi anche 6 metri e pesanti tonnellate, che se ne stanno sugli scogli a fare nulla. Lo studioso scoprirà la loro vera natura. Fine. Mah, per quanto scritto benino rimane un’opera minore, forse persino insufficiente, con quegli inutili riferimenti poi alle guerre mondiali, alla persecuzione degli ebrei in Germania….Mah, un Hugo regalato. Era decisamente superiore, per dire, il racconto di Resnick, apparso in Robot 58, un divertente e affascinante storia con due anziani protagonisti, molto anziani e pure alla fine molto sorpresi, dato che il proprietario dell’emporio, che aveva una certa età quando loro erano bambini, era ancora là, e in gran forma.[/justify]
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Vince il Nebula 2008 per il migliore racconto Orgoglio e Prometeo, del 59enne John Kessel, al secondo Nebula con questa opera finalista all’Hugo.
Gli altri erano l’inedito The ray-gun: a love story, di James Alan Gardner; l’inedito If angels fight, di Richard Bowes; l’inedito Dark rooms, di Lisa Goldstein; l’inedito Night wind, di Mary Rosenblum; Baby doll, di Johanna Sinisalo e l’inedito Kaleidoscope, di K. D. Wentworth.
Dopo Orgoglio e pregiudizio, prima di Orgoglio e pregiudizio e zombies (poco prima), c’è questo, una sorta di Orgoglio, pregiudizio e Frankenstein. Orgoglio e Prometeo si trova in un volume Elara, il numero 1 di Fantasy & Science Fiction; io però ce l’avevo in lingua originale e dunque me lo sono letto in inglese. Intanto, chiariamo subito, hanno ragione i votanti del Nebula: l’opera di Kessel è decisamente superiore a quella della Bear. Questo soprattutto perché quella della Elizabeth è poca cosa: è bastata questa cosa carina per batterla senza problemi (secondo me, certo). La scelta dell’Hugo è ancor più incomprensibile. Tra i due però avrei scelto l’opera di Resnick, scritta bene, interessante, curiosa, inquietante. Il vincente il Nebula mescola Orgoglio e pregiudizio al dott. Frankenstein e la sua creatura. Lo fa in maniera interessante e funzionale. Mary, che nel libro originale è praticamente priva di qualità, è qua la protagonista, che si innamora del dott. Frankenstein, questo giovane tenebroso giunto dal continente. Kitty, altra sorella marginale nell’originale, qua ne combina parecchie e va incontro a una fine tragica. La creatura di Frankenstein stessa, ribellatasi al suo creatore, ne ha molte da dire. Insomma, è un’opera curiosa che prende abbastanza e che forse soffre la distanza corta del racconto. Io sarei per un 7.[/justify]



[justify]Vince l’Hugo 2009 per il migliore racconto breve Respiro, del 42enne Ted Chiang, al terzo Hugo.[/justify]
[justify]Perdono 26 scimmie, ovvero l’abisso, di Kij Johnson; l’inedito From Babel’s fall’n glory we fled, di Michael Swanwick; l’inedito Evil robot monkey, di Mary Robinette Kowal e Articolo di fede, di  Mike Resnick.[/justify]
[justify]Respiro si trova in Robot 58. Tra tutte le opere vincenti l’Hugo o il Nebula di Chiang, l’ho trovata la minore. E’ un raccontino curioso, scritto decentemente, in cui una cultura aliena basata su principi diversi dai nostri (creature la cui vita si basa molto sull’aria e le differenze di pressione) giunge al termine e il protagonista racconta come è andata, sperando che un giorno una civiltà aliena scopra tali memorie. Fine, non c’è altro, anche se il racconto è compiuto in sé e non ci sarebbe altro da aggiungere. E’ caruccio, interessante, ma non fa gridare al miracolo. Direi un voto sul sette.[/justify]
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Vince il Nebula 2008 l’inedito Trophy wives, della 54enne Nina Kiriki Hoffman, al primo Nebula.
Gli altri erano 26 scimmie, ovvero l’abisso, di Kij Johnson; l’inedito The button bin, di Mike Allen; l’inedito The dreaming wind, di Jeffrey Ford; l’inedito The tomb wife, di Gwyneth Jones; l’inedito Don’t stop, di James Patrick Kelly e l’inedito Mars: a traveler’s guide, di Ruth Nestvold.
Erano quasi 10 anni ma ce l’abbiamo fatta, finalmente un Nebula al racconto breve che non faccia schifo. Esagero forse, ma prima o poi speravo in un’opera che fosse almeno accettabile, come questa, che raggiunge una sufficienza perché non c’è alcun motivo per bocciarlo, ma neanche per ricordarlo. Come dice Wikipedia, le trophy wives, le mogli trofeo, sono “.. a wife, usually young and attractive, who is regarded as a status symbol for the husband, who is often older or unattractive, but usually wealthy.” Viene subito in mente Trump, insomma, o il suo maestro Berlusconi. O chissà quanti altri.
Il raccontino parla di queste ragazza che ha accettato il matrimonio se con lei poteva andare la sua amica. Le due cercano di dare una mano alle ragazze in difficoltà, e lo faranno per una ragazza trovata in un mercato, una fuggitiva da un matrimonio combinato. Finale affrettato ma il tutto non è ripugnante.
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[justify]Opera non di fiction, vince l’Hugo 2009 Your hate mail will be graded: a decade of whatever, 1998-2008, di John Scalzi, che si trova su Amazon a 10-20 dollari, dipende dall’edizione, in formato digitale a molto meno. Parla del blog che tiene John Scalzi, Whatever, che lui iniziò nel 1998. Su quanto scrive riceve vari commenti; per quelli di odio lui dà dei voti, prima di rimandarli indietro, da quanto ho capito. In questo libro una collezione di un po’ di tutto su quanto sopra, dovrebbe essere molto divertente.[/justify]
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Da questa edizione vengono premiate le so called graphic novel. L’Hugo 2009 va all’inedito Girl Genius, Volume 8: Agatha Heterodyne and the Chapel of Bones, scritto da Kaja & Phil Foglio, disegnato da Phil Foglio, colori di Cheyenne Wright.
Mah, me lo sono letto e come si vede è già l’ottavo volume di questa Girl Genius, che come gli altri è ambientato in un mondo steampunk con elementi fantastici. Il tutto è piuttosto deludente, sono le storie di questa protagonista, storie che non sono granchè e disegnate neanche granchè bene. Il tutto mi pare un‘operazione dilettantesca, se è consentito dirlo.
Gli altri erano: l’inedito The Dresden Files: Welcome to the Jungle, non male, disegni interessanti, più tradizionale, con un investigatore dell’occulto, questo volume non era male; l’inedito Fables: War and Pieces, non male tecnicamente, ambiente fantastico, ma il tutto mi è parso poca roba; l’inedito Serenity: Better Days, ambientato nel mondo della serie tv Serenity, che non ho letto ma mi pare una riduzione non molto interessante; Y – L’ultimo uomo sulla Terra, vol. 10: la variabile Y, come si capisce una serie che dura da tanto, qua sono candidati i numeri dal 55 al 60 (gli ultimi di tutta la serie), dove si narra il post estinzione dei maschi, istantanea e che ha compreso animali e uomini, tranne un tizio e la sua scimmietta. Molto adulto, interessante, decisamente il migliore del mazzo, e di tanto. L’ultimo candidato era l’inedito Schlock Mercenary: The Body Politic, che non ho letto ma su cui non perderei altro tempo.[/justify]




[justify]L’Hugo 2009 per il migliore film va a WALL-E, il gran bel film della Pixar – Walt Disney. All’uscita dal cinema, dopo la visione, pensai che non era un capolavoro e che era anche furbetto nella costruzione, una specie di La vita è bella, in questo, ma più bello. Fine però, nel senso che altre critiche non le avevo e questo fu infine il severo commento: “Bello bello bello …MA malgrado l’entusiasmo sfrenato di critica e pubblico, non lo ritengo un capolavoro. Perché in definitiva è troppo affrettato e troppo superficiale. Troppe cose non hanno spiegazione, o non sono plausibili (la storiella d’amore, lo sbarco degli umani, dopo anni che non camminavano…); il tutto è poi manifestamente costruito e si vede troppo (primi 10’: fare vedere il robottino, giornata tipo; introdurre lei; bisticci e coinvolgimento; etc…). Non scatta insomma l’emozione.
Saremmo di fronte a una nuova La vita è bella: grande critiche, grande entusiasmo, ma un senso di finto continuo. Con la grande differenza che Wall-E è nettamente più bello. Al di là delle critiche, direi che siamo sull’ 8/9, tecnicamente perfetto, i personaggi sono azzeccati (meno gli altri robottini), la storiella intriga, ma su tutto prevale un’atmosfera irripetibile, con i grattacieli di immondizie, e un robottino che imperterrito continua a impaccarle. Comunque da non perdere.”[/justify]
[justify]Nulla da fare invece per The dark knight, di Nolan. Anche qua filmone ma non capolavoro. Ecco cosa scrissi, ancora molto severamente: “Secondo il pubblico, tale film è il quinto più bello di tutti i tempi. Opinione risibile. E’ un buon film, certamente; altrettanto sicuro è che non è un capolavoro, e che al 9 non arriva per via di qualche incongruenza, qualche passaggio a vuoto nella sceneggiatura, con battute infelici, un casting qua e là discutibile (ho trovato la Gyllenhaal completamente fuori posto). Rimane un buon film, come spesso accade, fortunato lui, per Batman. Giusta l’esclusione dalla cinquina degli Oscar. Non dimenticherei però le cose buone: ben fatto (ma certi combattimenti fanno piangere: leeeenti), con tanti ottimi comprimari, una storia che comunque in due ore e mezza circa si sviluppa bene e non ha pause. La famosa interpretazione del Jocker è sopravvalutata, è la parte che è proprio buona, l’interpretazione, valida, non è memorabile. Molte le scene di violenza fastidiosa. Film da 8, insomma.”[/justify]
[justify]Va male anche al primo Iron Man, di Favreau. Questa la critica piuttosto entusiasta che feci una decina di anni fa. “Incassi enormi per questo film, e perché poi? Direi perché prima di tutto è bello, anzi una figata, malgrado l’accoglienza tiepida della critica, che avrà detto “…sì…carino…” e in sala si saranno fatti le pippe dalla gioia. E’ vero che la storia è lineare, tutto sommato semplice, scontatina ma neanche troppo. Il film invece ha parecchi plus: il regista, a cui coraggiosamente hanno affidato il film, ci fa un figurone e si conferma, dopo due film particolari come Elf e Zathura. Le parti sono scritte molto bene, e il ritmo è grande, meglio del gettonatissimo Il cavaliere oscuro. Spesso affiora dell’ottimo umorismo. Per il protagonista hanno scelto un eccellente attore, il sottovalutato Robert Downey jr., magari non noto al grande pubblico, ma notissimo e amato dal piccolo pubblico. Lo ricordo tra l’altro in Chaplin, in un ruolo da far tremare i polsi, dove, incredibile a dirsi, spesso non sfigura con la leggenda Charlot. Sicuramente con questo film ora lo riconoscono tutti. Il cattivo, che è veramente cattivissimo, perfido, vile, bastardo, un signor cattivo e un uomo di merda, insomma, grand villain, è Jeff Bridges, mica ‘hazzi, anche qua un signor attore, presente in una montagna di altri film, fino alla sua parte forse più famosa, Lebowski ne Il grande Lebowski.
Lei è la Gwyneth, al top della suo fascino, in una parte perfetta e ben interpretata. Pure i vari comprimari sono azzeccati e funzionano. Insomma un film divertente e intelligente. Due nomination agli Oscar (suoni e effetti), è in finale 2009 per l’Hugo. Io ci metterei un 9 nel suo genere, un 8 in generale, e chiudiamola lì.”[/justify]
[justify]Perse pure Hellboy II, di Guillermo del Toro. Questo fu il mio sintetico commento: “Hellboy è un personaggio che è una figata, ed è già da solo terreno fertile per qualcosa di buono. Qua non abbiamo nulla di originale, anzi, ma il tutto funziona. Fatto benissimo, trama semplice ma efficace, dei bei cattivi, buoni combattimenti, ben diretto, classico film di puro divertimento ben fatto. Ti dà quello che ti aspetti. Meglio del primo. Direi tra 7 e 8.”[/justify]
[justify]Nulla da fare anche per METAtropolis, di John Scalzi, che non capisco cosa ci faccia qua, dato che è un progetto solo audio senza video. Boh.[/justify]
[justify]Per cosa faceva la fila la gente nel 2008 al cinema? Torna come ad ogni edizione la richiestissima rubrica. Dunque, prima di tutto, Il cavaliere oscuro, capace di infrangere il muro del miliardo di dollari di incasso nel mondo. Ancora ora è il 36° incasso all-time. Poi Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, il deludente e perdibile tentativo di riesumare Indiana Jones. Bruttino ma redditizio. Quindi terzo Kung Fu Panda, il primo della serie, una figata. Quarto Hancock, altra figata, molto scorretto e mi chiedo, perché non è nella cinquina?? Un altro successo, per me inspiegabile data la bruttezza, fu Mamma mia!, il musical su canzoni (quelle invece belle) degli Abba. Quindi il caruccio Madagascar 2, il bel 007 di turno (Quantum of solace), Iron Man, WALL-E (piuttosto basso negli incassi), e poi via via gli altri, Le cronache di Narnia: il principe Caspian (riuscito così cosà), Sex and the city (il film), La mummia: la tomba dell’imperatore (brutto), Twilight (il primo!) e via dicendo.[/justify]
[justify]Ok, a parte i soldi, cosa valeva la pena vedere nel 2008? Altra seguitissima rubrica (ma forse)! Il Cavaliere oscuro ha un’enorme schiera di fan, che al tempo diede una sfilza di voti bassi a Il padrino per fare sì che il voto medio di quel capolavoro calasse. Un atteggiamento da bambini idioti, certo, tenuto conto che Il padrino non lo videro, ma così va il mondo e la cosa fece notizia. Comunque Il cavaliere oscuro ha un altissimo luminoso voto medio. Anche WALL-E ha un importante voto medio, e di questi due abbiamo già detto. Un altro filmone del 2008, senza grandi incassi, fu Gran Torino, di e con Clint Eastwood.[/justify]
[justify]Ok, per i film abbiamo detto tutto. Dimentichiamo altri bei film di SF del periodo? Non direi, almeno da non considerare tali Il curioso caso di Benjamin Button e Ponyo, entrambi di quell’anno.[/justify]
[justify]E il Nebula? Il Nebula 2008 andò a WALL-E, dunque doppietta per il robottino.[/justify]
[justify]Gli altri erano The dark knight e Il santuario, sesto episodio della quinta e ultima stagione di Stargate Atlantis.[/justify]
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Serie e affini. L’Hugo 2009 andò a Dr. Horrible sing-alone blog, una cosa in tre atti trasmessa via Internet, ma evidentemente piaciuta molto, forse anche perché dietro tutto c’era Joss Whedon. Non sono in grado di darne alcun giudizio.
Gli altri erano Rivelazioni, decimo episodio della quarta stagione di Battlestar Galactica; Gira a sinistra, undicesimo episodio della quarta nuova stagione del Dottor Who (interpretato da David Tennant); Le ombre assassine – Frammenti di memoria, ottavo e nono episodio sempre della quarta nuova stagione del Dottor Who e La costante, quinto episodio della quarta stagione di Lost.
 
Vince infine l’Hugo 2009 come migliore artista il 42enne Donato Giancola, grandissimo, al terzo premio.




Bisognerebbe fare qualcosa con chi fa le camicie di Mike Resnick.




Doctorow non ha vinto, la Kress sì.




Anche la Bear, malgrado i capelli improbabili, ha vinto. E chi è quel signore in fondo??!!




A sinistra Bacigalupi, a destra Resnick de-camiciato




Larry Niven sembra sempre un po' incazzoso, in queste foto




Eccolo qua bel bello, il migliore romanzo è il suo




Questi sono i 4 signori che invece hanno perso: da sx Stephenson, Doctorow, Scalzi e Stross.




Vince Gaiman, bel romanzo






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Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Lun 12 Nov, 2018 21:45    Oggetto:   

Giuro che la prossima volta non metto un testo giustificato, a costo di allinearlo a destra.
Albacube
«Reloaded» Reloaded
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MessaggioInviato: Mar 13 Nov, 2018 14:09    Oggetto:   

Grazie, Tob.
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Ven 10 Apr, 2020 16:10    Oggetto:   

L’Hugo al migliore romanzo andò per il 2010 a ben due opere, si verificò pertanto un non troppo frequente ex-aequo.
Vincono l’Hugo La città e la città, del 38enne China Mieville e La ragazza meccanica, di Paolo Bacigalupi, suo coetaneo. Entrambi sono al primo premio Hugo.
Gli sconfitti furono l’inedito Boneshaker, di Cherie Priest; WWW 1: risveglio, di Robert Sawyer; l’inedito Palimpsest, di Catherynne Valente e l’inedito Julian Comstock: a story of 22[sup]nd[/sup] century America, di Robert Wilson.
Vince il Nebula 2009 per il migliore romanzo La ragazza meccanica, di Paolo Bacigalupi, al primo Nebula, dunque doppietta con il suo romanzo (d’esordio, peraltro).
Gli altri erano La città e la città, di China Mieville; l’inedito Boneshaker, di Cherie Priest; l’inedito The love we share without knowing, di Christopher Barzak; l’inedito Flesh and fire, di Laura Gilman e l’inedito Finch, di Jeff VanderMeer.
[left]Ho iniziato con Mieville, che non avevo mai letto. L’opera fa presto pensare a Il sindacato dei poliziotti yiddish, anche qua un poliziotto protagonista, un detective, e un altro libro che catalogherei più come noir: come nel vincente l’Hugo nel 2008, la fantascienza è molto marginale. Là, una sorta di ucronia, qua abbiamo una città immaginaria nel centro – est Europa (non meglio definito), anzi, due città – stato tra loro intrecciate, con vie e piazze che appartengono all’una o all’altra, o in parte a una e in parte all’altra, con sovrapposizioni e confini evidenti per gli abitanti delle due comunità ma difficilmente distinguibili dagli stranieri.[/left]
I cittadini sono abituati fin da piccoli a non vedere (“disvedere” nel libro) gli abitanti dell’altra città, come fossero dei fantasmi; non possono avere rapporti, parlare con loro, devono fingere che non esistano proprio, e lo stesso devono fare per le auto, le abitazioni e tutto quanto appartiene “all’altra” città
Se non fanno ciò, se anzi volontariamente hanno qualunque tipo di rapporto, commettono un crimine enorme, cioè “la violazione”, crimine di cui si occupa un’entità misteriosa, che è sopra la legge di entrambe le città e che si occuperà di fare giustizia a modo suo: il malcapitato di norma sparisce e non se ne sa più nulla. Come faccia questa istituzione a sapere in ogni momento cosa fanno i cittadini delle due città e ad intervenire, è un enigma.
Su questa base si innesta la storia di Mieville, con un omicidio di difficile soluzione e con gli intrecci della storia, a cui si aggiungono quelli con studiosi del mito di una terza città, molto più antica, in qualche modo frapposta e mescolata alle altre due.
Il libro è bello, adulto, intrigante, interessante e direi che merita sia il premito che un bell’8. Mieville mi è piaciuto, scrive bene, cattura l’attenzione e porta avanti benissimo trame e sotto trame. Bello, bravo.








Solo un gradino sotto metterei il romanzo di Bacigalupi, che è sì il suo romanzo di esordio, ma in precedenza aveva comunque pubblicato opere più brevi. Anche di questo autore non avevo ancora letto nulla.
L’inizio è difficile, faticoso, farraginoso, per un 10% del libro (grazie Kindle per il dato) l’ostacolo è bello alto e a rischio “lascio perdere”. Questo però non lo faccio mai, la questione è che l’autore (come fanno anche altri, forse fa un po’ fico) ti butta dentro il suo libro, dentro il suo mondo, senza se e senza ma, senza passare per il via, sta a te poi capire che sta dicendo, cosa sono i termini incomprensibili che usa, e così via.
Se uno tiene duro capisce che siamo in un futuro non troppo remoto (anzi), in cui i combustibili fossili sono quasi finiti, i mari si sono bene alzati, le nuove epidemie dilagano, insomma non siamo messi bene. Il tutto è ambientato curiosamente in Thailandia, dove c’è il nostro protagonista e ci sono varie lotte sotterranee per il potere, che si combattono ai piani alti ma anche nei più bassi. Le storie infatti si intrecciano tra i massimi poteri (statali e multinazionali) e quelli dei bassifondi, ampiamente documentati dall’autore. La ragazza del titolo è una creatura creata in laboratorio, costruita ma viva, e che ovviamente avrà una parte decisiva nel romanzo.
Passato l’inizio difficile, il romanzo decolla (anche se in qualche punto sarebbe stato meglio limarlo o limitarlo) e non è niente male. Opera adulta, per le situazioni e anche per alcune scene di sesso esplicito. Direi che siamo sul 7,5 ma è comunque un’opera sicuramente consigliabile.






L’Hugo al migliore romanzo breve va al 46enne Charles Stross per Palinsesto. Stross è al secondo Hugo
Gli altri erano l’inedito The god engines, di John Scalzi, l’inedito The women of Nell Gwynne’s, di Kage Baker, Atto primo, di Nancy Kress, Il circo dei gatti di Vishnu, di Ian McDonald e l’inedito Shambling towards Hiroshima, di James Morrow.
Stross qua è fantastico a riuscire a dare toni così epici nello spazio limitato del romanzo breve. Parla di viaggi nel tempo, di un’intera organizzazione di viaggiatori nel tempo, che ha come scopo primario la salvezza dell’umanità. In futuro, viene svelato, l’umanità si estingue molte volte, o per meglio dire, tutte le volte che riprende da capo il tragitto verso la massima civiltà, ed è compito di questa organizzazione provvedere a trovare delle soluzioni. Ma mica per i prossimi secoli o millenni, no, per i prossimi eoni, quando l’ingegneria avrà raggiunto dei tali livelli da utilizzare interi corpi celesti per prelevare loro le risorse o usarli come serve. Fa dunque un po’ girare la testa seguire il protagonista, che si sposta di intere ere nelle sue missioni, fino a capire che del marcio c’è pure, incredibilmente, una struttura così potente e definitiva, dove anche là ci sarà sempre chi cerca il potere per il potere.
Le implicazioni dei viaggi del tempo sono trattate con maestria, ai nuovi associati viene chiesto di uccidere il proprio nonno, così che i genitori non saranno mai esistiti ma solo dei ricordi personali (e il protagonista in questione rimane, comunque); tutta questa maestria nel trattare la materia va un po’ a scapito della storia del nostro personaggio, storia che non viene sacrificata al tutto ma un tantino affoga nell’enorme scenario descritto. Il lettore anche qua viene gettato nel bel mezzo della storia, niente spiegoni ma è lui che deve capire il tutto dai pochi indizi, continuando a leggere. E un po’ un must di questi anni 2.000 e amen, si va avanti così, capita spesso anche nei film.
Comunque altra prova riuscita di Stross, che mi era piaciuto anche nel precedente lavoro vincente. Strano poi che due opere quest’anno avessero lo stesso titolo, c’era infatti anche un Palimpsest (ovviamente non suo) in gara per il romanzo.
Il Nebula 2009 va all’inedito The women of Nell Gwynne’s, della 58enne Kage Baker, al primo Nebula. La scrittrice è poi prematuramente scomparsa nello stesso 2010 e il premio fu dato postumo.
Sconfigge l’inedito The god engines, di John Scalzi; Atto primo, di Nancy Kress; l’inedito Shambling towards Hiroshima, di James Morrow; l’inedito Arkfall, di Carolyn Ives Gilman e l’inedito Sublimation angels, di Jason Sanford.
Non ho letto il vincente il Nebula, e con questo fanno 6 opere vincenti che mi mancano, tra Nebula e Hugo. Ok, in verità sono tutte Nebula, quelle che mi mancano.
Non l’ho comprato perché non c’è in e-book, su Amazon almeno non l’ho trovato. Sullo stesso Amazon c’è ovviamente in cartaceo, ma solo in un’edizione super figa, con bella copertina rigida, che nell’ultima visita costava ben più di 20 euro. se a questo aggiungo che in epoca di coronavirus se anche non vedo il corriere, va ok, no, non l’ho comprato né letto.













L’Hugo 2010 al migliore racconto va a L’isola, del 52enne Peter Watts, che in Italia è uscito in Robot 62 (primavera 2011). Per Watts primo Hugo.
Gli altri erano l’inedito Overtime, di Charles Stross (che perse per un nonnulla); l’inedito Eros, Philia, Agape, di Rachel Swirsky; l’inedito It takes two, di Nicola Griffith; l’inedito One of our bastards is missing, di Paul Cornell e Prete, fornaio, bugiardo, libertino, maschera rossa, maschera nera, gentiluomo, assassino, di Eugie Foster.
Il Nebula 2009 va a Prete, fornaio, bugiardo, libertino, maschera rossa, maschera nera, gentiluomo, assassino, della 39enne Eugie Foster, qua al primo Nebula. La scrittrice scomparve prematuramente pochi anni dopo.
Ha la meglio su Gioco d’azzardo, di Paolo Bacigalupi; l’inedito Vinegar peace, or the wrong-way used-adult orphanage, di Michael Bishop; l’inedito I needs must part, the policeman said, di Richard Bowes (l’errore ortografico non è mio); l’inedito Divining light, di Ted Kosmatka e l’inedito A memory of wind, di Rachel Swirsky.
“L’isola” parla di questa astronave da costruzione, lanciata da eoni nello spazio e deputata solo a fabbricare portali per viaggiare da un punto all’altro dell’Universo. Siamo in un futuro remotissimo, il Sole già da tempo ha polverizzato la Terra, l’umanità si è evoluta e chissà a cosa assomiglia, l’astronave viaggia programmata per quello che deve fare e neppure i pochi umani a bordo (che stanno quasi sempre ibernati) possono modificare tale programma semi-senziente. Se non che, a un certo punto, l’astronave viene in contatto con un’immane creatura, il primo essere alieno trovato, una struttura enorme attorno a una stella. Se costruissero il prossimo portale dove previsto, potrebbero minacciarne l’esistenza.
Non mi è piaciuto granchè questo vincitore. L’autore anche in questa occasione ti butta nel mezzo della storia, di faticosa ricostruzione. Lo stile è tale per cui non sempre è chiaro quanto sta succedendo, anzi.
Il racconto avviene in soggettiva femminile, di questa protagonista che fa molto la figa ed è parecchio antipatica, che non si preoccupa di spiegare ciò che accade, e solo lei lo capisce o intuisce, nessun altro a bordo, dunque si deve in qualche modo indovinare che cavolo sta succedendo. Pure il finale piuttosto frettoloso non è entusiasmante. Per me siamo a 5,5 , con tutto il rispetto per i votanti.
Il Nebula vincente dal lunghissimo titolo l’ho trovato decisamente migliore. E’ uscito in Robot 60, dell’estate 2010. Racconta di una società umana ben strana, ma molto interessante, che anche se è solo accennata è decisamente affascinante. E’ simile a una colonia di insetti, con tanto di regina, di profumi che scatenano feromoni e altre conseguenze e, cosa fighissima, di maschere che i cittadini sono tenuti a mettere al mattino e togliere prima di andare a dormire. Le maschere sono in numero enorme e la maschera indossata determina la giornata, fino anche al sesso della persona che la indossa quel giorno. Il protagonista diventa ogni giorno quanto dice il titolo, un giorno libertino, un giorno consorte della regina, un giorno assassino, un giorno assassinato, un giorno ragazza che fa shopping…fino a che si imbatte in una rivoltosa, perché anche qua, come in tutte le società “inumane”, sotto sotto scorre il fiume della ribellione. Bello e direi notevole questo racconto, che mi ha addirittura ricordato Robert Silverberg e il suo Il tempo delle metamorfosi, in alcuni passaggi.
Non so come hanno fatto a preferirgli l’altro, per l’Hugo, mah… io qua direi 7,5.


















L’Hugo 2010 al migliore racconto breve va a La sposa fredda, di Will McIntosh.
Gli altri erano l’inedito (non ne sono certo) The bride of Frankenstein, di Mike Resnick; l’inedito Non-zero probabilities, di N. K. Jemisin; Battibecco, di Kij Johnson e l’inedito The moment, di Lawrence M. Schoen.
Decisione diversa per il Nebula 2009, che premia Battibecco, di Kij Johnson.
I finalisti erano l’inedito Hooves and the hovel of Abdel Jameela, di Saladin Ahmed; l’inedito I remember the future, di Michael A. Burstein; l’inedito Non-zero probabilities, di N. K. Jemisin; Immersione profonda, di James Patrick Kelly e La sposa fredda, di Will McIntosh.
Il vincente l’Hugo si trova in Robot 61 dell’inverno 2010. E’ veramente notevole e mi è piaciuto molto. Immagina persone morte ma ibernate; dopo decenni, con la tecnologia del futuro, possono essere svegliate. Solo che la procedura per una completa rianimazione costa tantissimo, e gli unici che hanno interesse a farla sono potenziali mariti (o mogli). La protagonista, 80 anni dopo essere morta, viene risvegliata e interrogata da un potenziale marito, che non la trova così interessante, e la rispegne. Questo succederà ancora, nei secoli, e l’autore è bravissimo a descrivere l’angoscia e i pensieri della morta, che deve sfruttare i pochi minuti a disposizione per giocarsi le sue possibilità di “resuscitare”. Il raccontino è scritto benissimo, è avvincente, parte da un’idea insolita che però funziona bene ed è perfettamente compiuto nelle poche pagine previste per questa categoria. Decisamente un’opera difficile da dimenticare, per me 8,5.
Il vincente il Nebula si trova in Robot 72, dell’autunno 2014. Se il racconto della Foster vincente il Nebula aveva un paio di punti “per adulti”, con questo siamo direi nella SF-Porno. Hard SF, molto hard. Allora, questa opera racconta un’esperienza, e basta. Nessuna costruzione, nessun riferimento ai massimi sistemi, anzi, qua siamo ai minimi sistemi: una scialuppa di salvataggio, aliena, che vaga nello spazio. Dentro ci sono, nudi, un alieno globiforme e molto mucoso e una umana, gli unici a salvarsi da un tamponamento interstellare. E trombano. Cioè non fanno altro che trombare, essendo impossibile ogni forma di comunicazione. Tutto qua, pertanto il raccontino non è che aspira a vette altissime (è decisamente inferiore a quello che ha vinto l’Hugo, anche qua, non so come hanno fatto a preferirlo); però devo dire che è sia scritto bene, sia credibile nell’evolversi dei pensieri della protagonista. Darei un 6,5.















Migliore graphic story, vince Girl Genius, volume 9: Agatha Eterodyne and the heirs of the storm.
Non so sti nerd, sti nerdacci australiani che hanno votato sta roba, che ho trovato verbosissima, disegnata con uno stile poco accattivante, mi chiedo come faccia a piacere, altro che migliore graphic story.
Gli altri erano Batman: whatever happened to the Caped Crusader?, di neil Gaiman (!) e disegnato da Andy Kubert, un’interessante storia in cui buoni e cattivi si ritrovano a dare un estremo saluto davanti alla salma di Batman; Fables vol. 12: The dark ages, una cosa che non mi è dispiaciuta ma non è il mio genere; Captain Britain and MI13. Volume 3: Vampire State, interessante ma è un personaggio per me minore del mondo Marvel, e Schlock mercenary: the longshoreman of the Apocalypse, che neanche prendo in considerazione. Livello direi piuttosto basso.






Migliore film, vince il bel Moon, di Duncan Jones.
Batte District 9, Up, Star Trek e Avatar.
Sono tutti film celebri, tutti film che un appassionato di SF deve vedere o avere visto. Moon è come noto l’esordio del figlio di David Bowie, e che esordio. 7,9 su IMDB, per me anche 8 , è quello del lavoratore minerario sulla Luna, in una base molto automatizzata, che scoprirà cose incredibili su sé stesso. Altro non è da dire, se qualcuno non l’avesse visto, che poi, che aspetta a vederlo?
District 9 è sulla stessa falsariga, anch’esso 7,9 su IMDB e anch’esso per me da 8, è ormai una sorta di classico, entrambi sono due gioiellini pure essendo produzioni minori. E’ quello della segregazione degli alieni, per i pochi che non l’avessero visto (e che aspettano?)
Up è il famoso cartone animato col vecchietto che attacca i palloncini alla casa, così che la stessa “decolla”. Qua siamo addirittura a 8,2, su IMDB, ed è giusto (per me, anche 9), non so quanto sia giusto inserirlo nella cinquina dell’Hugo, un po’ si fatica a inserire il film nella SF.
Star Trek è il reboot, che ha fatto storcere il naso a molti puristi della serie, su IMDB ha solo 6,8 ma a me l’operazione di Abrams piacque, per quanto io non sia un trekkiano e non mi ponga problemi.
Avatar è il celeberrimo film che tutti conosciamo, anch’esso fece storcere la bocca a vari puristi, che vorrebbero cha la fantascienza fosse quella che dicono loro e “cosa avranno tanto da esaltarsi le masse, che di fantascienza non sanno nulla e non hanno mai letto nulla”, della fantascienza vera, intendono. Tutti discorsi che aborro, a me il film piacque subito molto, gli diedi 8 più un punto per la resa tecnica, totale 9, su IMDB ha 7,8 e ogni tanto lo rivedo e ogni volta mi piace di più.
Non so se Moon è il più bello del mazzo, per certo sono 5 film assolutamente da vedere.
 
Cosa manca in questa classifica? Direi che poteva starci Benvenuti a Zombieland, poi diventato un cult. Ci poteva stare benissimo Watchmen. Il bel cartone animato Summer wars. Anche l’animazione particolare di Coraline. Forse l’Harry Potter del periodo (Il principe mezzosangue).
 
Il Nebula 2009 andò invece a District 9.
 
Per cosa faceva la fila la gente al tempo? Ovviamente Avatar, la feci anche io, per vederlo sul grande schermo in 3D, una grande esperienza. E’ stato a lungo il più grande incasso della storia del cinema, battuto solo da Avengers: endgame lo scorso anno.
Poi sicuramente c’era l’Harry Potter già citato, che è ancora il 59° incasso all-time. Il terzo Era glaciale, di nessun valore, però. O La vendetta del caduto, l’ennesimo Transformers (anch’esso, nessuna qualità particolare).
Era andato bene anche il catastrofico 2012; pure Up andò bene al botteghino. C’era poi l’ennesimo Twilight, New moon, proprio brutto. C’era anche il divertente Sherlock Holmes, con Downey jr e Jude Law; pure Angeli e demoni, per quanto brutto, andò bene. Uscì anche il divertente Una notte da leoni.
Tra i film belli del 2009 ma meno fortunati al botteghino, ricorderei Bastardi senza gloria e Il segreto dei suoi occhi.
















Vince l’Hugo per la migliore rappresentazione breve un episodio di Doctor Who: l’acqua di Marte. Faceva parte di 5 “specials” che raccordavano la serie 4 con la serie 5 (in pratica la stagione 30 con la 31). Questo era il terzo special, cioè pare l’episodio 201 in assoluto. Il Dottore è il decimo, cioè David Tennant. Non sono un fan e non aggiungo altro.
Gli altri erano: Doctor Who: un altro Dottore (stessa roba, ma il primo di questi special); Doctor Who: il pianeta dei morti (idem, secondo); Epitaph one, ultimo episodio della prima stagione di Dollhouse e Mai più giorni felici, primo episodio in assoluto della serie Flashforward.







Artista professionista, vince il 36enne Shaun Tan, al primo Hugo. Se non lo conoscete, cercate le sue opere. Tan è un visionario, del tipo che se conoscete il gioco di società DIXIT, penserete che tutte le carte le ha disegnate lui (ma non è vero, è per dare un’idea). Ecco, Tan fa cose simili. PS. se non avete mai giocato a Dixit, sono molto sorry per voi.







Gli highlights dei Nebula 2009 si possono vedere qua
 
https://www.youtube.com/watch?v=KwhedsNtWlg
 
per chi ha poca pazienza, riassumo che ci sarà un discorso di Connie Willis, uno del mitico Joe Haldeman, quindi nei minuti finali le premiazioni, partendo dalle categorie più brevi e arrivando al romanzo: non sono presenti Kij Johnson (sostituita da John Kessel, che per conto suo di Nebula ne ha vinti due) e ovviamente, purtroppo, Kage Baker. Ci sono Eugie Foster e un emozionatissimo Paolo Bacigalupi, annunciato da Scalzi.
Albacube
«Reloaded» Reloaded
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MessaggioInviato: Ven 10 Apr, 2020 18:42    Oggetto:   

Grazie Tob, mancava da troppo tempo!

Beh che gran anno cinematografico, tra l'altro, per me 3 film obbligatori che più obbligatori non si può.

Sarà contento Vittò, per i consigli sulla hard Sf  Very Happy
Tobanis
«Antinano» Antinano
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MessaggioInviato: Dom 15 Nov, 2020 18:42    Oggetto:   

Wow che disastro di annata!



Annata che direi disastrosa per gli Hugo, per fortuna i Nebula scelgono meglio.
 
Doppietta nella doppietta, si potrebbe dire, dato che il migliore romanzo è, sia per l’Hugo 2011 che per il Nebula 2010, il doppio romanzo inedito (in Italia) Blackout / All clear, della 66enne Connie Willis, addirittura all’undicesimo Hugo e settimo Nebula.
Gli altri in gara nell’Hugo erano l’inedito Feed, di Mira Grant; La criocamera di Vorkosigan di Lois McMaster Bujold; I centomila regni, di N. K. Jemisin e l’inedito The dervish house, di Ian McDonald.
Quelli in gara per il Nebula erano l’inedito The native star, di M. K. Hobson; I centomila regni, di N. K. Jemisin; l’inedito Shades of milk and honey, di Mary Robinette Kowal; Echo, di Jack McDevitt e Chi teme la morte: la profezia di Onye, di Nnedi Okorafor.
Il libro della Willis uscì in due momenti: Blackout, nel febbraio 2010, e All clear, nell’ottobre 2010, e sono considerati un tutt’uno, per un totale di oltre 1.100 pagine. Mi sono apprestato a questa grossa lettura senza particolare entusiasmo. La Willis, seppure pluripremiata, raramente mi ha entusiasmato. E poi ero stufo dei suoi viaggi del tempo che finiscono sempre a Londra, durante i bombardamenti aerei tedeschi del ’40-’41, argomento che aveva messo in un numero esagerato di libri.
Tanto per cambiare, si parla di storici di professione, di viaggiatori del tempo che finiscono soprattutto a Londra, soprattutto durante i bombardamenti del ’40 – ‘41. Sempre quella, insomma; una variante, ma sempre quella, sempre nella comfort zone dell’autrice.
Fino al 25% del primo libro (oltre 500 pagine, nel cartaceo) non accade nulla, con questi storici e viaggiatori del tempo: c’è un grande clima di dilettantismo (ma temo sia involontario e che l’autrice non se ne accorga), per qualche motivo però, si legge, i vari viaggi nel tempo subiscono spostamenti sia temporali (ore o giorno di differenza da quanto atteso) che spaziali: questo sarà l’argomento principale, con conseguenze e soluzioni che si vedranno per le successive centinaia di pagine e nelle centinaia del secondo libro (altre 650 pagine, nel cartaceo). I personaggi sono assolutamente intercambiabili, simili se non uguali tra loro, persone fittizie a cui non ti affezioni, dato il loro status, di fatto, di marionette, di pupattoli che hanno vari sentimenti mancanti, perché l’autrice si dimentica di darli loro. I dialoghi, che in molti libri sono un modo per accendere l’interesse, qua sono una palla micidiale, di rara pesantezza…Ma è la pesantezza, in definitiva, a caratterizzare tutta la doppia opera.
Per gran parte del libro le storie sono slegate, abbiamo tre personaggi principali che vivono dei singoli episodi i quali solo nel finale trovano il motivo scatenante per collegarsi infine tra loro. Si va avanti a singoli capitoli, ognuno con il classico cliffhanger alla fine (spesso di scarso interesse), e quindi si riparte con nuovo capitolo riprendendo la storia di un altro personaggio. Più una serie tv che un libro, insomma. Sui cliffhanger poi sarebbe da dirne molte, all’autrice. La prima cosa che le rimarcherei, avessi editato l’opera, è che non funzionano. Non creano attesa, non creano suspence, se il personaggio vive una qualche tensione è perché è sostanzialmente un coglione, mentre il lettore, che ha capito come stanno le cose da decine di pagine prima, non vive con nessun interesse il presunto cliffhanger e non ha tutta sta voglia di precipitarsi al capitolo successivo, che tanto confermerà quanto ha già intuito da ore. La seconda è che usandoli così a raffica, comunque li depotenzi e poi, ma che stai a scrivere? Mi ricordo che era un espediente che si usava nei gialli per ragazzi, per tenere vivo l’interesse, ma adesso….
Spicca tra gli “storici” un forte dilettantismo, dicevo, a partire dal loro direttore, un totale incompetente, che non è chiaro come occupa quella posizione, se non pensando che la meritocrazia anche per l’autrice è un optional. La sua direzione è disastrosa, alla fine il personaggio vincente, il deus ex machina, riuscirà solo disobbedendo ai suoi ordini, nel secondo libro, a sistemare le cose, se no, ero ancora là che leggevo. Gli storici del futuro per la Willis, inoltre, soffrono di un’incomprensibile mancanza di fondi e di mezzi a disposizione, come se al resto del mondo interessasse poco o nulla conoscere le verità del passato, mentre chiunque può capire (ma non la Willis) che se avessi la verità vera su un fatto cardine della Storia, minimo ci piazzo un best seller da paura e ci faccio i miliardi. Vabbè, rimanendo al primo libro, per un buon 60% l’interesse mio è bassissimo. Ho trovato ingenui alcuni passaggi, quasi insopportabili i vari personaggi, tra cui spiccano di certo i “bambini terribili”, tali solo per i personaggi e l’autrice. La piccineria dell’autrice fa poi fare dei mestieri molto umili agli storici, come piccine sono le loro ricerche, così una delle protagoniste fa la serva in casa, l’altra fa la commessa per racimolare qualcosa, così che la loro funzione mi è oscura, cioè ho capito che li hanno spediti là per osservare la popolazione di Londra durante il Blitz (argomento già di per sé di rara indifferenza)…e dunque? E chissene?
Le indubbie qualità narrative della Willis qua vengono messe a dura prova, dato che infarcisce inutilmente il libro con un maniacale e spesso pesantissimo ricorso a particolari minuti e inutili, fini a sé stessi, per descrizioni dettagliate di azioni e pensieri per nulla importanti nel romanzo. Cerca insomma di fare letteratura di un certo livello, fallendo però a mio parere miseramente la prova. Anche i pensieri dei personaggi sono spesso dei continui “what..if…” che potrebbero essere escogitati da dei decerebrati, per di più vengono riproposti con malvagia continuità dall’autrice.
Non cambiano le cose all’inizio di All Clear, il seguito, che si fa subito (non) apprezzare per le consuete descrizioni particolareggiate sul nulla. Si arriva a cose assurde, tipo 50-100 pagine perché uno dei personaggi deve ricordare come trovare un aeroporto (che poi non sarà tale, non aveva proprio capito nulla), oppure il boss degli storici che con incredibile leggerezza e incompetenza decide di andare lui solo a salvare i personaggi, nel passato, e pure proibendo che qualcuno lo segua. Di fatto, come detto, si salverà la barca solo disobbedendo agli ordini. Ma per l’autrice tutto quanto ho detto finora è sconosciuto. Queste pecche, tutte, sono involontarie, non volute. L’incompetenza degli storici è tale, ma non perché immessa nel romanzo, è tale perché la Willis, senza accorgersi, dipinge dei personaggi che sono dei coglioni. Il secondo libro è peggio del precedente, qua fino al 51% delle centinaia di pagine, non accade nulla di importante. I colpi di scena (presunti tali) sono penosi, ed è penoso altrettanto vedere come invece ci caschino i personaggi. La protagonista, Polly, è nomen omen, una polla, una scema, sempre in ritardo di ore nel capire le cose ovvie, una che appena un altro protagonista si allontana per una qualche ricerca, e non la chiama subito, si perde in inutili ipotesi, pesantissime, su dove possa essere finito, sarà mica morto, sarà in difficoltà, ma vaffanculo, tu e quell’altro, dovunque sia finito. Questo va avanti per decine di inutili pagine, ogni volta che accade, e partono gli interminabili e noiosi what – if.
Capiamoci, la Willis ha un indubbio talento nel dipingere la vita del 1940 a Londra, quella quotidiana, intendo, per quanto possa poi fregare poco. La Willis, più in generale, però, ha una visione meschina, i suoi storici sono alla ricerca di fatti marginali, se non insignificanti. Ma è la stessa autrice che manca di coraggio a non indagare invece i grandi misteri della Storia, non ha il coraggio di fare ipotesi, di inventare risvolti, di schierarsi. Non ci racconta uno storico che segue magari il Cristo e gli apostoli, o Buddha, o anche solo Alessandro Magno, o chi cavolo vi pare, ma qualcuno dei BIG del passato, insomma.
Il tutto mi è risultato pesantissimo, soprattutto per me, che non salto mai una riga o una singola parola, anche se è in inglese. Due stelle su 5 mi pare generosetto.








Vince l’Hugo 2011 per il migliore romanzo breve Il ciclo di vita degli oggetti software, del 44enne Ted Chiang, al suo primo romanzo dopo avere scritto solo racconti e al quarto Hugo.
Gli altri erano L’ultimo cosmonauta, di Alastair Reynolds; l’inedito The lady who plucked red flowers beneath the queen’s window, di Rachel Swirsky; Le città nelle nuvole, di Geoffrey A. Landis e l’inedito The maiden flight of McCauley’s Bellerophon, di Elizabeth Hand.
Chiang lo reputo un piccolo Harlan Ellison, per i racconti (certo, non ancora a quel livello), ma qua, tentando la strada del romanzo, seppure breve, fallisce abbastanza miseramente. Purtroppo non è riuscito a infondere, paradossalmente, l’ampio respiro che invece si è trovato talvolta in opere molto più brevi. Anzi, il romanzo quasi affoga nella sua inutile lunghezza, nel senso che va avanti senza scopo, troppo a lungo, fino a un deludente finale. Sembra quasi un tentativo, come dire, boh, provo, vediamo…e non è venuto bene. E vince l’Hugo. Potenza del nome? Mah, per me, sì. Il romanzetto non è per nulla memorabile, dato che darò 5 (ma su 10). La storia è molto nerd e figlia di mode passeggere, si racconta di come dei personaggi virtuali, dei cuccioli, vengono fatti nascere e fatti crescere, adottati da umani, i quali possono anche trasferirli se vogliono su dei rudimentali robot, nel mondo reale. L’invenzione ha rapidamente successo, si legge, e poi rapidamente l’interesse scema e i vari personaggi vengono abbandonati dai loro proprietari umani. Rimane solo un gruppetto di irriducibili, che continuano a seguire e fare crescere queste creature virtuali, sui loro device. Ci saranno vari problemi, poi forse delle soluzioni. Fine. Bleah. Gli umani protagonisti vengono dipinti (involontariamente) come degli umani disturbati, dato che fanno naufragare rapporti e matrimoni perché preferiscono dedicare più tempo (e denaro!) alle loro creature digitali, inoltre Chang li dota di un carattere insopportabilmente razionale, mai uno scatto di ira, mai una cazzata, sempre buonsenso e ragionamenti pacati, per quanto viziati alla radice (questo lo aggiungo io). Insomma, in questa edizione siamo già a due brutti romanzi, per l’Hugo.
Scelta diversa fa il Nebula: il premio 2010 al migliore romanzo breve va all’inedito The lady who plucked red flowers beneath the queen’s window, della 29enne Rachel Swirsky, al primo Nebula.
Perdono l’inedito The alchemist, di Paolo Bacigalupi; l’inedito Iron shoes, di J. Kathleen Cheney; Il ciclo di vita degli oggetti software, di Ted Chiang; Le città nelle nuvole, di Geoffrey A. Landis e l’inedito Ghosts doing the orange dance, di Paul Park.
Il romanzo della Swirsky è sorprendentemente buono. Siamo in un mondo arretrato e dominato dalla magia. In una società matriarcale, la maga e amante della regina trova la morte nelle prime pagine, ma non scompare: nel resto del libro verrà evocata più volte, ogni volta in corpi diversi (che di solito muoiono a fine invocazione). E’ veramente affascinante vedere i vari ”risvegli” della protagonista che, assieme al lettore, non ha idea di quanto tempo sia passato, chi l’abbia evocata, perché, cosa vogliano da lei, etc… Ad ogni capitolo ci ritroviamo insomma in un corpo nuovo, all’interno di un cerchio di evocazione (od esagono, o quello che è), a volte a pochi anni dal precedente risveglio e davanti a persone note, a volte a decenni, in società completamente cambiate, infine a millenni di distanza, in una società come la nostra, dove però la magia è al posto della scienza: studiata, codificata, insegnata. L’autrice è abile a tenere sempre sveglia l’attenzione, il libro va via rapido; è vero, non c’è SF, ma in fondo amen. Trovo anche un po’ strano che questo romanzo non sia presente in italiano, secondo me siamo su un buon livello e al Nebula hanno deciso molto più saggiamente che all’Hugo.












L’Hugo per il migliore racconto va a L’imperatore di Marte, del 53enne Allen M. Steele, al terzo Hugo.
E’ ritenuto meglio di Tredici chilometri, di Sean McMullen; Più o meno, di James Patrick Kelly; Il Leviatano che Tu hai creato, di Eric James Stone e La casa del giaguaro, nell’ombra, di Aliette de Bodard.
Il racconto di Steele è su Robot 64, dell’autunno 2011; mi intrigava sia l’autore, che mi piace molto, sia il titolo che richiama opere di decenni fa. Invece, delusione. L’autore unisce un fatto reale (l’arrivo della sonda Phoenix su Marte, nel 2008, con a bordo un DVD con racconti, libri, clip “marziane”), a un omaggio ai vari libri di SF su Marte; si inventa questo racconto bruttino in cui, in futuro, un operaio su Marte, dopo un lutto, trova rifugio in queste letture, fino a pensare di essere l’imperatore di Marte. E…e niente, fine. Racconto che non dice nulla, è solo un breve omaggio (brutto) alle letture di una volta.
Decide diversamente il Nebula, che premia per il migliore racconto Il Leviatano che Tu hai creato, del 44enne Eric James Stone, al primo Nebula.
Qua gli altri erano l’inedito Map of seventeen, di Christopher Barzak; La casa del giaguaro, nell’ombra, di Aliette de Bodard; l’inedito The fortuitous meeting of Gerard Van Oost and Oludara, di Christopher Kastensmidt; Più o meno, di James Patrick Kelly; l’inedito Pishaach, di Shweta Narayan e l’inedito Stone wall truth, di Caroline M. Yoachim.
Anche in questo caso, al Nebula hanno deciso più saggiamente. L’opera si trova su Robot 63, dell’estate 2011. E’ molto carina, parla di questo prete mormone, che è al centro del Sole, letteralmente, in una base terrestre che grazie a uno scudo energetico si trova proprio là. Da un po’ è stata scoperta una razza di enormi esseri di plasma, che non solo vivono sul Sole, ma pure costruiscono portali per viaggiare istantaneamente da una stella all’altra. Ebbene, ha convertito alcuni di questi alla sua religione ed ora, per un fatto increscioso, chiede udienza al più antico di questi esseri, che è lungo chilometri e vecchio di eoni. Il tono del racconto è dal punto di vista di questo prete, è un tono abbastanza leggero, il protagonista è intimorito ma deciso. L’autore dell’opera è lui stesso mormone e l’opera prende spunto ovviamente da un passo della Bibbia, da un salmo che parla proprio del Leviatano. Sarei per un 7, il racconto è piacevole e scorre fluido e interessante.














Il migliore racconto breve per l’Hugo va, nell’edizione 2011, a Per la mancanza di un chiodo, della 42enne Mary Robinette Kowal, al primo Hugo.
Perdono l’inedito Ponies, di Kij Johnson; Le cose, di Peter Watts e l’inedito Amaryllis, di Carrie Vaughn.
Il titolo fa riferimento a una filastrocca inglese, che dice più o meno che senza il chiodo si perse il ferro di cavallo, senza il ferro, si perse il cavallo, poi di seguito il cavaliere, la battaglia e il regno, tutto per colpa di un chiodo. Purtroppo, anche il raccontino della Kowal non è memorabile, anzi. Racconta superficialmente di una nave nello spazio, dove le risorse sono limitate e la riproduzione accuratamente pianificata, così come la dipartita di persone non più necessarie. La storia si sofferma sul robot di riferimento di bordo, che, per vari motivi, copre la demenza galoppante di uno dei vecchi membri, il quale cerca così di scampare al suo destino, mentre i più giovani indagano su cosa stia succedendo. Si arriva a un finale non troppo soddisfacente, anzi. Al massimo, direi, una sufficienza.
Il Nebula decide diversamente e c’è pure un ex-aequo: vincono l’inedito Ponies, della 51enne Kij Johnson (al secondo Nebula), e Ma guarda, un uomo in miniatura, del 77enne Harlan Ellison, al quarto Nebula.
Gli altri erano l’inedito Arvies, di Adam-Troy Castro; l’inedito I’m alive, I love you, I’ll see you in Reno, di Vylar Kaftan; l’inedito The green book, di Amal El-Mohtar; l’inedito Ghosts of New York, di Jennifer Pelland e l’inedito Conditional love, di Felicity Shoulders.
Il racconto della Johnson è veramente brevissimo e molto crudele. Parla di queste ragazzine, le quali tutte hanno dei pony alati (virtuali?), col corno e che parlano. La protagonista, per fare parte del gruppo delle altre, deve sottoporre il proprio pony, in una “festa del taglio”, alla perdita di due delle tre caratteristiche, ma non tutto andrà come previsto. Mah, questo raccontino forse vuole dire qualcosa, essere una metafora di qualcos’altro, ma tutto è troppo accennato e confuso, sembra quasi una serie di appunti spediti giusto per partecipare, senza troppe speranze, a un concorso.
Il racconto di Ellison si trova su Robot 65, della primavera 2012. E’ decisamente meglio degli altri due. E’ un deciso attacco alla società del 2011, che poi è quella di oggi. Il protagonista fa un ometto di una decina di centimetri. Nessuno dei colleghi si stupisce troppo di ciò, nessuno cioè si sofferma sull’incredibilità della cosa, al massimo dicono quanto dice il titolo, anzi, fanno in modo di dare una mano all’ometto. Poi però i media scoprono la cosa, la conduttrice di un talk show attacca l’essere, definendolo un abominio di fronte a Dio e cagate simili, da lì le cose precipitano, altri chiedono che la creatura venga eliminata, monta lo sdegno dell’opinione pubblica, i colleghi gli tolgono il saluto e l’appoggio, c’è la fuga finchè ovviamente vengono presi. A questo punto due finali, che non svelo, il secondo mi pare cattivo il giusto e mi piace. Nel complesso sarei per un 7.
Nella stessa rivista di Robot c’è anche il finalista Hugo Le cose, di Watts, che in pratica prende La cosa di Carpenter (che a sua volta deriva dal racconto di Campbell) e ribalta il punto di vista, dato che l’opera ha come soggetto proprio la Cosa finita nel nostro mondo, poveraccia. Racconto interessante, ma quello che batte tutti è senza dubbio Decima squadra, di Valentino Peyrano che con questo racconto vinse il premio Robot 2011 e regala una delle situazioni più inquietanti lette ultimamente. Ben scritto e bel racconto.








Libri non di narrativa, vince Chicks dig time lords: a celebration of Doctor Who by the women who love it, di Lynne M. Thomas e Tara O’Shea.
Su Amazon sotto i 15 euro per 185 pagine circa, come dice il titolo è un po’ la summa delle impressioni DELLE fan (femmine) alle stagioni del famoso Dottore. Le recensioni sono positive e molti l’hanno trovato divertente.








Vince per il migliore fumetto Girl genius, volume 10: Agatha Heterodyne and the guardian muse.
Gli altri erano Fables: Witches; Schlock Mercenary: massively parallel; Grandville mon amour e The unwritten, volume 2: inside man.
Mah, che dire, non so bene perché e percome continua sta roba del fumetto. Come ho già detto in passato, sto Girl Genius mi pare una illeggibile “nerdata” e tale mi pare anche quello vincente quest’anno. Possibile che al mondo non ci sia veramente nulla di meglio?
Il volume di Fables non sono riuscito a trovarlo; quello di Schlock è ai limiti del commentabile, tanto mi è sembrato insulso. Grandville mon amour almeno ha suscitato il mio interesse, con tutti questi animali antropomorfizzati e il detective tasso…opera onesta e interessante, direi. Molto meglio della vincente, per dire. Pure The Unwritten è abbastanza interessante e come il precedente, meglio della roba che ha vinto.




Migliore film, vince Inception, di Nolan.
I finalisti erano Dragon trainer; Harry Potter e i doni della morte, parte 1; Toy story 3 e Scott Pilgrim vs. the World.
Il film di Nolan, che vinse anche il Nebula, ( 8, 8 su IMDB) mi piacque moltissimo, così come al grande pubblico, tanto che gli diedi 8/9. Non un capolavoro, ma neanche un film come tanti. Magari anche da 8, ma il finale l’ho trovato veramente bello. Grande successo anche al botteghino. Film imperdibile, forse anche da rivedere, dopo anni.
Di Dragon Trainer io sono un fan ( 8, 1 su IMDB), dunque sono di parte, ma anche qua un 8,5 secondo me ci sta tutto. Bello bello, e le musiche sono stupende. Se non l’avete visto, recuperate.
L’Harry Potter di questo anno (7,7 su IMDB) mi piacque pure; più adulto degli altri, con i primi che erano forse più per ragazzini, questo invece ha una bella atmosfera complessiva e per Potter, qua, sono cavoli amari.
Toy Story 3 ( 8, 3 su IMDB) è per certo un buon film, ma un po’ troppo piacione, fatto proprio per piacere, per meglio dire, artificialmente costruito per strappare la lacrimuccia (vedi il finale, che comunque è bello); se devo dirla tutta, la parte centrale mi aveva un po’ annoiato. Ma un 7/8 ci sta comodo o comodoso.
Infine è molto ma molto particolare Scott Pilgrim (7,5 su IMDB), diciamo che la prima mezz’ora è da sogno, poi ha questa virata senza senso che ti cadono le braccia, ma poi ti abitui anche a quella e da me alla fine ci scappò un 8/9.
In definitiva, gran bella cinquina. Cosa si dimenticò la giuria, anzi, cosa eventualmente dimenticarono coloro che mandano in nomination i titoli? Forse Kick-ass, tratto dall’omonimo fumetto, meritava la cinquina. Megamind poi fu un cartone animato carino, di quell’anno. Iron-man 2 invece, va detto, che non è che riuscì benissimo, per quanto caruccio. Tron: legacy per certo non meritava la nomination; Predators neanche, mentre Monsters fu un film particolare. Non parliamo poi di Resident evil: afterlife, una porcheria. O peggio ancora, Skyline. Direi che quelli che dovevano esserci, ci sono.
Allargando l’orizzonte agli amici del Fantasy, ci furono sicuramente bei titoli come Rapunzel, o Arietty, o Cattivissimo me (questo, soprattutto), ma vabbè, non è più finita.
Come sempre, un’occhiata ai titoli in generale di maggiore successo del tempo. Tra questi, e non ancora nominati, Alice in Wonderland, Shrek 4, The twilight saga: eclipse; con incassi minori poi, Scontro tra titani, Il discorso del re; Le cronache di Narnia: il viaggio del veliero, Karate kid (rifatto), Il cigno nero, Robin Hood…insomma il fantastico andò forte al cinema, quell’anno.








Telefilm o quel che l’è, vince l’Hugo 2011 il Dottor Who, con La Pandorica si apre / Il Big Bang, che sono gli ultimi due episodi della Quinta stagione (Nuova serie), e che hanno Matt Smith come Dottore. Non so perché se sono due episodi vincono assieme, e non ex – aequo…boh, anche in origine vennero trasmessi in due date diverse.
Gli altri erano Vincent e il Dottore, decima puntata su 13 della stessa serie del Dottor Who; A Christmas carol, episodio natalizio (il sesto) del Dottor Who; The lost thing, un interessante cartone animato breve di Shaun Tan, che vinse pure l’Oscar nella categoria e Fuck me, Ray Bradbury, un video musicale di Rachel Bloom, una comica tettona che canta pure bene questo brano rock. Il video è comico ma anche abbastanza esplicito, in alcuni passaggi; il testo invece è molto esplicito. Il tutto venne fatto vedere al vecchio Ray, che gradì e fu molto lusingato. Ovviamente io avrei subito premiato questo.
 
Migliore artista, vince Shaun Tan, nominato poco fa e al secondo Hugo.




Niente foto di matti, in questa edizione.


Steele vince e ride, ma l'opera non è indimenticabile.




Mannaggia, Willis Connie, quante pagine mi hai fatto leggere per nulla.






Eric Stone ha inivece vinto un buon Nebula. Bravo!




Ma che firmare, RR Martin, va a finire il Trono di spade, fannullone...






Spoiler, questa squilibrata è Jo Walton e il prossimo anno avrebbe fatto doppietta.




I classici: Haldeman.




La Kowal ha pure lei vinto un Hugo non indimenticabile.




Silverberg, che edizione...aiutaci tu.
il_Cimpy_Spinoso
«Babbano in Incognito» Babbano in Incognito
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MessaggioInviato: Dom 15 Nov, 2020 19:34    Oggetto:   

Non credevo si potessero fare post così lunghi.

Adesso vado a digitalizzare la mia tesi di laurea...

(uè, complimenti, Tobanis. Soprattutto per esserti digerito tutto un malloppone che manco ti piaceva)
Tobanis
«Antinano» Antinano
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Località: Padova
MessaggioInviato: Dom 15 Nov, 2020 21:09    Oggetto:   

Si dai veramente lungo, scusate le evidenti imperfezioni e gli errori, lo butto giù di getto e in questi gg non ho tanto tempo, sarebbe da rivedere ma sarebbe da avere il tempo per farlo.
Importante si capisca il senso, poi s'ha da scusare la forma.
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