The Fountain è un film difficile da definire... Complicato, pieno di interrogativi, di temi da affrontare, di dubbi (purtroppo non tutti risolti), strabordante di simbologie e di concetti, colmo d’amore e di morte, organizzato su tre livelli temporali che si compenetrano e si interscambiano in continuazione, si uniscono e poi implodono e si sfaldano.
La ricerca di una cura alternativa per il cancro oggi e quella di un albero narrato dalla Genesi del giardino dell'Eden ovvero l'albero della vita, diventa metafora per parlare di amore, di sentimenti che legano indissolubilmente due persone, in ogni luogo e in ogni spazio.
Ma ci trasmettono anche la paura dell’ignoto, l’immortalità, il dramma dell’impotenza davanti alla malattia terminale, la fragilità dell’uomo, la paura di una fine, il trascorrere del tempo e il destino. Insomma, mica robetta.
Ma da un regista come
Darren Aronofsky che ha all’attivo solo 3 (

)film e che fin dall’esordio con
Pi greco – Il teorema del delirio si interrogava sulla “decodificazione” del
divino e dell’infinito, non ci si poteva aspettare che un tema come la vita eterna. E’ vero che c’è molto da capire, ma la scelta di parlare di temi importanti attraverso diversi stili e forme visive, dal cinema d’avventura, al melodramma, alla fantascienza, in una commistione di generi e di forme, tra filosofia e cinema popolare, è davvero bella. Tutto questo debordare di avvenimenti è compresso nell’arco di poco più di un’ora e mezza.
Vantaggi? Non ci si annoia vista la quantità di argomenti trattati, il film non diventa prolisso, si evitano elucubrazioni e troppi momenti ridondanti (che comunque non mancano).
Svantaggi? Purtoppo sono molti di più. Tutti gli interrogativi rimangono senza un vero nerbo, senza un nucelo centrale, ci si appassiona alla vicenda d’amore contemporanea tra Tommy e Izzie, ma molto meno agli altri due segmenti che sono sviluppati con troppa rapidità.
Il soggetto è pretenzioso, bisogna ammetterlo. Ed è indubbio che rispetto al già citato Pi greco e al ruvido ed esasperante
Requiem for a dream (per me, il suo film migliore), The Fountain sia un’opera riuscita a metà. Manca il vero tema ipnotico e il coraggio della rottura.
Stefano Disegni nella sua “recensione-parodia” a fumetti fa dire ai suoi personaggi:
-Non capisci, guarirai!
-Capire è una parola grossa in questo film!
Questo per indicare quali reazioni può suscitare questa pellicola….
The Fountain o lo si ama o lo si odia.
Ma è anche assurdo dire che da un regista come Aronofsky non ci si aspettavano dei giudizi del genere. Si alternano recensioni negative e positive che mettono in luce le stesse motivazioni, viste sia come tocchi di inventiva e di capacità visionaria, sia come esasperazioni kitsch o pomposità new age gratuite. La verità… è che è così!
Ad esempio, il delirante viaggio finale, che occupa l'ultimo quarto d'ora, in bilico tra passato, presente e futuro, tra sogno e realtà, sbanda ma sorprende. E' esasperato, ma anche necessario in qualche modo.
Bellissimo il continuo rimando alle
forme circolari, forma geometrica perfetta: la morte, la vita e l'amore siano in realtà una cosa sola, indissolubile come un semplice oggetto geometrico, come un
seme che viene piantato nella terra e un anello che funge un po’ da filo conduttore tra la Spagna, la casa e l’universo, e racchiude metaforicamente tutto il significato del film,
anello dato al conquistador, perso, e poi tatuato, tondo come la
bolla che trasporta l’uomo del futuro verso Xibalba o come lo
scudo che lo protegge nell’antico tempo Maya.
Grandioso il lavoro fatto sulla scenografia, per non parlare delle splendide vibranti musiche di
Clint Mansell che accompagnano il viaggio attraverso i vari mondi, con una partitura orchestrale da Oscar, senza esagerare.
La fotografia di
Matthew Libatique, già collaboratore ai due precedenti film di Aronofsky, lascia sbalorditi e concorre in maniera determinante all'inquietante spiritualità delle immagini sullo schermo.
I due attori protagonisti sono convincenti e hanno un’alchimia non comune, Hugh Jackman emotivo, fragile, disperato, e Rachel Weisz, compagna del regista nella vita reale, splendida ed emozionante, radiosa anche se condannata.
Non è del tutto riuscito The Fountain, ma è così pieno di sfaccettature, ha un’ambizione che lo deve far rivalutare. Il viaggio così “delirante” tra tempo e spazio non è purtroppo il potenziale capolavoro che sarebbe potuto essere, ma, come ho letto, è uno di quei film che saranno rivalutati a pieno in un futuro, e davvero insieme agli altri lavori di Aronofsky avrà (forse) l’aura di cult.